Dal medioevo ai nostri giorni

Maggiori notizie su Le Bine e zone limitrofe vi sono dal Medioevo, quando nei territori limitrofi all’odierna Riserva naturale nacquero centri religiosi come il Monastero di S. Tommaso in Acquanegra sul Chiese e a Calvatone il Monastero dei Francescani minori osservanti di S. Maria. Uno dei monasteri più importanti, che influì notevolmente sullo sviluppo di queste zone, fu quello di S. Giulia in Brescia, che aveva ricevuto dal re longobardo Desiderio e da principi e vescovi larghe donazioni di terreni che si estendevano dalla Valle Camonica alla pianura bresciana fino alle sponde dell’Oglio e del Po e da Piacenza a Sermide e Gonzaga (Picasso, 1980). Molti di questi possedimenti furono in seguito ceduti dal monastero alle popolazioni locali, così il 2 ottobre 1462, la comunità di Calvatone entrò in possesso di un “bunchiello” (imbarcazione) sull’Oglio poco lontano dal centro abitato.
L’Oglio, che segnava il confine tra il ducato di Mantova e di Milano, formava tra Acquanegra sul Chiese e Calvatone un ampio meandro. A monte di quest’ansa, sulla sponda cremonese, c’era il porticciolo di Calvatone, un altro era ubicato un po’ più a valle, all’uscita del meandro, sulla sponda mantovana.
Da una relazione datata 11 febbraio 1788, probabilmente scritta da un incaricato del governo austriaco, si viene a sapere che i due imbarcaderi, probbabilmente in competizione tra loro per il trasporto di materiale, animali e uomini e per i relativi pedaggi imposti, avevano provocato una lunga serie di controversie tra Calvatone e le autorità.
Tra il XVI e XVII secolo la superficie agraria calvatonese era occupata in gran parte da campi coltivati di vario genere, da vigneti e da prati. Per il resto vi erano incolti, pascoli e boschi; questi ultimi, in maggioranza saliceti (con pioppi ed ontani), venivano “gabbati”, cioè potati per evitare che si sviluppassero troppo in altezza e per utilizzare i rami elastici e sottili delle “gabbe dei salici” per operazioni di legatura della vite.
Tra il 1714 ed il 1797, sotto il governo austriaco, furono eseguite numerose opere di regimazione delle acque. Parallelamente furono redatte numerose ed accurate carte catastali. L’intera ansa di “Le Bine” subì un’enorme modifica, documentata da una serie di mappe dal 1751 in poi.
“Nel 1790-91 l’impresario di lavori pubblici Giovanni Battista Locatelli eseguiva il rettifilo del fiume Oglio, che correva a curve e svolte pericolosissime per i continui franamenti dell’argine. Così restava tutta sulla sponda destra quella parte del territorio comunale che si chiama Bine di Acquanegra la quale, posta tra l’Oglio vivo messo su un nuovo letto e l’Oglio morto, l’antico letto, è ora vicinissima a Calvatone cremonese e per tutte le ragioni le dovrebbe appartenere” (Sanfelice, 1909). La mappa del 1751 ci mostra come l’Oglio seguisse ancora il vecchio corso; inoltre in questa cartina è disegnata la cascina di “Le Bine” (“cassina detta delle Bine”). Nel 1786 venne affidato a G.B. Locatelli, come sopra accennato, l’incarico di formare due rettifili in territorio di Acquanegra sul Chiese e Canneto sull’Oglio. Tre anni dopo vennero emesse delle disposizioni per garantire a Calvatone l’uso del porticciolo di Acquanegra sul Chiese, dato che quello del comune cremonese sarebbe rimasto isolato a causa della costruzione dei rettifili. Poco dopo iniziarono i lavori e nel 1795, come mostra la cartina eseguita da Federico Villa, era già stato costruito il canale che collegava le due estremità del meandro. La piantina successiva, del 1808, mostra l’Oglio più o meno come appare ancora ai nostri giorni: con il meandro abbandonato detto “Oglio morto”, che è la parte principale dell’attuale Riserva naturale.
Nel corso del XVII e XVIII secolo l’agricoltura padana andò verso un’evoluzione progressiva seguita di pari passo dal miglioramento del sistema irriguo. Vennero ampiamente diffuse le colture del gelso, le risaie, i prati artificiali, asciutti ed irrigui, le foraggere, la canapa ed il lino.
Alla fine dell’800 alcune zone di Calvatone furono prosciugate, come avvenne per la Regona, un’ampia zona umida acquitrinosa, che fu “salvata dalle acque sorgive”; anche l’“Oglio morto” sarebbe dovuto essere bonificato “per migliorare la salute pubblica”. Scrive infatti Sanfelice nel 1909: “..la bonifica cioé il prosciugamento dell’Oglio morto, è, e sarà – Dio sa per quanto tempo – un pio desiderio essendo la palude di proprietà privata e la popolazione calvatonese ne subire i miasmi mefitici ed i danni igienici per secoli e secoli”. È passato quasi un secolo e le cose sono molto cambiate: le paludi non sono piu considerate luoghi “mefitici”, ma è stata riconosciuta la loro importanza da un punto di vista idrogeologico, naturale e culturale. Esse sono infatti rari relitti, testimoni di un passato ambientale ormai scomparso: per fortuna le speranze del Sanfelice, peraltro comprensibili per il suo tempo, non si sono concretizzate.
Nell’area delimitata dal meandro e dal fiume si sono succedute diverse coltivazioni agricole fino agli attuali impianti a pioppo. Vi è ancora la cascina che ha subito diverse modifiche nel tempo e che deve l’origine del suo nome a bina “che in Lombardia significa “riparo, palafitta e chiusa’ ” (Olivieri,
1961).

a cura di Andrea Agapito Ludovici

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER!