Tag: tesi

Api e miele

Le api come non le avete mai viste: da molto vicino!

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Api e miele

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Studi e ricerche sui Mammiferi

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Studi e ricerche sugli uccelli

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Studi e ricerche sugli Insetti

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Studi e ricerche per la gestione de Le Bine

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Studi e ricerche su agronomia e pedologia

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Aspetti idrobiologici

La palude di Le Bine è stata oggetto di due indagini sugli aspetti idrobiologici:

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Flora e vegetazione

La flora e la vegetazione di Le Bine sono state oggetto di studio e monitoraggio fin dal 1984, attraverso censimenti floristici, secondo l’inquadramento sistematico del Pignatti (1982) e l’utilizzo del metodo fitosociologico per il rilievo della vegetazione (Braun-Blanquet, 1979). Il monitoraggio delle dinamiche evolutive è stato anche assicurato dalla definizione di 23 quadrati permanenti (aree di superficie nota dove periodicamente vengono svolti rilievi, molto utili per valutare l’evoluzione della vegetazione negli anni), di superficie compresa tra 25 e 1.100 mq distribuiti nella Riserva. I quadrati permanenti sono stati rilevati 1-2 volte per anno, sempre nello stesso periodo (a maggio e ad agosto-settembre) per evitare sfasamenti fenologici che possano determinare differenze significative. Nella Riserva sono ad oggi state censite 329 specie di piante vascolari; nel 1999 e 2000 sono state rilevate 291 specie, di cui 31 rinvenute per la prima volta, mentre non sono state rilevate 70 specie di quelle censite nelle ricerche precedenti. Si stima che circa il 60% di queste sia da attribuire a difetti di ricerche, mentre il restante 40% potrebbe non essere più presente a Le Bine.

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Api

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Attività per scuole superiori ed università 

Ospitiamo tirocini per l'alternanza scuola/lavoro e attività specifiche

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Agricoltura

L’area di rispetto della Riserva è quasi interamente occupata da colture arboree, da un frutteto e da un piccolo orto.

Il passaggio da un’azienda con più colture (seminativi, vigneto, pioppeto) ad una conduzione pressoché monospecifica con impianti a pioppo è avvenuta negli anni ’50. 
Fino al 2000 la gestione del pioppeto si è svolta con un impostazione tradizionale: nessuna rotazione fra i turni di coltivazione (circa decennali), ampio ricorso alle lavorazioni meccaniche del terreno (che determinano la frantumazione e il rimescolamento del primo strato di suolo) e trattamenti a calendario per contrastare alcuni insetti (in particolare Saperda carcharias, un coleottero che negli stadi larvali si sviluppa in gallerie scavate nel tronco dei pioppi). In uno studio commissionato dal WWF redatto nei primi anni ’90, si erano ipotizzati alcuni interventi (inseriti poi nel primo piano di gestione della Riserva) per ridurre l’impatto ambientale della pioppicoltura, rimasti però sostanzialmente lettera morta, a causa dei non ancora definiti rapporti con la proprietà su queste problematiche. 
Nel 2000, grazie alla disponibilità dell’azienda agricola proprietaria dell’area e con la promozione del Progetto Agricoltura del Parco Oglio Sud, è stato possibile adottare alcune delle misure previste e attuarne di nuove. In particolare, è stata posta molta attenzione all’uso di prodotti di sintesi per la pioppicoltura ed alle lavorazioni meccaniche dei terreni. Rispetto all’insetticida normalmente usato (un organofosforico a base di clorpirofos metile e di cipermetrina) per contrastare la presenza di Saperda carcharias, nei primi anni di vita delle piante, si è adottato un metodo di distribuzione che prevede una drastica riduzione delle quantità distribuite e una trascurabile dispersione nell’ambiente (dall’uso di circa 1 litro di prodotto per 400 piante si è passati ad un litro per oltre 10.000 piante). 
Rispetto alle lavorazioni meccaniche invece si è stabilito di effettuare due lavorazioni/anno nel pioppeto più giovane ed una sola in quelli più maturi. Sempre per minimizzare l’impatto delle lavorazioni meccaniche si è previsto di effettuare le medesime operazioni a fasce alterne lavorate a distanza di 15 giorni.

Tutto questo fino al 2008 quando è stato tagliato l'ultimo lotto di pioppeto estensivo. Da allora le uniche coltivazioni a Le Bine sono state quelle arboree ad eccezione di un frutteto di circa 5.000 mq messo a dimora nel 2010 e di un orto di circa 5.000 mq. Entrambi utilizzati per le necessità dell'agriturismo e per i quali è stato avviato l'iter per il riconoscimento come colture biologiche. Per l'orto il processo di certificazione è stato completato nel 2012 per il frutteto lo è diventato nel luglio del 2013.

Il frutteto è stato realizzato con vecchie cultivar (varietà) locali o meglio tipiche della pianura.

Negli inverni 2011-'12 e 2012-'13 sono stati realizzati altri rimboschimenti in buona parte con i fondi del Piano Sviluppo Rurale, in misura minore con un contributo della COOP Italia al WWF che contribuiranno ad aumentare la parte forestata della riserva.

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Dal neolitico all'epoca romana

Le più antiche attestazioni di una certa consistenza della presenza umana in Pianura Padana risalgono al V millennio a.C., quando, con l’età neolitica, si verificò il processo evolutivo che comportò il graduale passaggio da un approvvigionamento alimentare derivato dalla caccia e dalla raccolta dei frutti ad un’economia basata sull’agricoltura semistanziale e sull’allevamento.

In questa fase gli abitati di capanne, posti preferibilmente su bassi rilievi ricoperti da querceto misto, in prossimità di depressioni paludose e canneti, non costituivano probabilmente insediamenti stabili, ma avevano carattere temporaneo. Nella zona orientale della Pianura Padana si diffuse la Cultura del Vhò di Piadena, le cui attestazioni sono particolarmente significative nel cremonese e nel mantovano, in particolare nella zona di Piadena (CR), che ha dato il nome alla facies stessa, ove sono stati rinvenuti insediamenti neolitici in diverse località. La comparsa dei primi oggetti in metallo (piccoli coltelli ed asce) nel III millennio a.C. segna il passaggio al Calcolitico (o età del rame). In questo periodo ebbe luogo un ulteriore sviluppo della pastorizia e della coltivazione di frumento, farro, orzo, miglio. Rari sono i ritrovamenti di abitati pertinenti a questa età, mentre le documentazioni più cospicue derivano dallo scavo di sepolture. Proprio da una necropoli scoperta alla fine dell’Ottocento è derivato il nome della Cultura di Remedello, sviluppatasi tra i fiumi Oglio e Chiese. A questo orizzonte culturale è attribuibile la più antica testimonianza rinvenuta nel territorio di Calvatone: una tomba scoperta nel 1959 sotto il pavimento di una domus romana, usualmente indicata come “Casa del Labirinto”, all’interno della quale era deposto il defunto in posizione rannicchiata sul fianco sinistro, senza oggetti di corredo. 


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